Sotto la plastica, il cielo

by diego rossi | Literature & Fiction | This book has not been rated.
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Journal Entry 1 by DiegoRossi from Roma, Lazio Italy on Wednesday, June 8, 2011
Sto scrivendo un romanzo on-line in larga parte dedicato al Bookcrossing, è la storia di un libro in viaggio, l'idea è nata da : "daoud hari, il traduttore del silenzio, Piemme", e verrà sviluppata qui, di journal Entry in Journal Entry... per esprimere incoraggiamenti o critiche ecco la pagina facebook...
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Journal Entry 2 by DiegoRossi at Roma, Lazio Italy on Friday, June 10, 2011
capitolo 1 - lettera a Barbara -

Era mezzogiorno inoltrato quando Brenno si svegliò. Fu scosso dalle grida della madre nelle orecchie:
- Basta! Sono così triste che non so più se rimanere a casa o andare via…
Brenno aveva la bocca acida di sonno. La prima cosa che vide, sporgendosi dal letto, fu lo screensaver del computer, rimasto acceso dalla sera prima. Sullo schermo nero cadeva una pioggia di lettere verdi, come in un vecchio film di fantascienza. Oltre la persiana il cielo appariva di piombo, il ponte del canale che conduceva a New York ricordava un castello di pesanti ragnatele. Sembrava lasciato lì da una enorme vedova nera meccanica.
Dalla cucina riconobbe la voce del padre:
- Amore… Amore… non avrò speso più di 60 dollari…
- Basta! Maledetto tu e la vita che mi stai facendo fare!
- Solo 60 dollari, Amore, non di più! Te lo giuro su Brenno!
Nel letto Brenno cercò con la mano la fronte; i polpastrelli stringevano le palpebre sugli occhi gonfi di sonno. Il padre era così bugiardo da giurare anche su di lui pur di farla franca. La vita si poteva giocare in diversi modi, e i dadi o le slot erano, in fondo, solo uno dei tanti. Le nubi scendevano pesanti sull’orizzonte, si raccoglievano lentamente e la nebbia cominciava a infittirsi. Il ponte sullo sfondo era distante, insensibile, un pugno in un occhio che gli ricordava suo padre, saldato da cardini rugginosi alla superbia, al disinteresse per gli altri. Eppure la natura, da qualche parte, doveva pur preparare un vento demolitore o un inverno più rigido per farlo in frantumi. Fuori doveva fare molto freddo, mentre da sotto le coperte Brenno si sentiva assalito da una vampata di caldo nauseante.
- Hai preso anche la carta di credito… - urlò, quasi piangendo, la madre - …Hai utilizzato, anche quella?
- Nooo…
- A me sembra di sì. Perché l’avevo messa in un posto preciso, sono andata a vedere e sta dietro rispetto a tutto… quindi l’hai presa tu…
- Smettila dai… una volta che nostro figlio è venuto a trovarci.
A Brenno era venuta voglia di fumare. Si alzò dal letto. Afferrò i jeans strappati, cercò sotto la maglietta di cotone e una felpa sbiadita, ma trovò solo un mozzicone inutilizzabile. Si vestì in fretta. Tutto sembrava inutile e vuoto. Si rese conto di non provare nulla, nemmeno più rabbia. Era come se non si trovasse nemmeno lì. Era tornato a far visita ai suoi per un paio di giorni. Al secondo piano della vecchia casa di famiglia aveva ritrovato la stanza dove era stato rinchiuso a leggere per interi pomeriggi da ragazzo. Cercò le ciabatte e d’istinto pensò se la sua, un giorno, magari avrebbe potuto diventare una vita facile.
Dal computer della madre arrivò un suono netto. Un nuovo messaggio. All’inizio non capì. Era passato così tanto tempo, sette, forse otto anni. Poi si ricordò dei coniugi Hornbaker e della storia di un tizio che si era inventato di scrivere sulla banconota da un dollaro delle frasi e lasciarle correre per il mondo, qualcuno aveva realizzato un sito dove poter tracciare il viaggio a partire dal numero di serie e poi quell’idea era stata trasferita ai libri da Ron Hornbaker e dalla moglie. Brenno era piccolo, erano in viaggio sul traghetto, tornavano a casa nel Jersey e sua madre gli aveva raccontato la storia dei libri che viaggiano. Quando si è piccoli è bello ascoltare le favole, si crede quasi che, crescendo, si possa finire in una di quelle, dove tutto va male, ma poi, alla fine, succede sempre qualcosa di bello…

Journal Entry 3 by DiegoRossi at Roma, Lazio Italy on Monday, June 13, 2011
capitolo 1 - lettera a Barbara -


Nonostante Brenno mostrasse di sé un aspetto trascurato: la barba incolta, i capelli, sottili e biondi, sempre scompigliati, gli abiti sgualciti, lisi, la sua vita rimaneva libera e densa proprio grazie ai libri. Sua madre, Deanna, non era mai stata ricca né fortunata, soprattutto con gli uomini. Nel giorno del suo ventesimo compleanno aveva conosciuto l’uomo che poi avrebbe sposato. Aveva pensato che il destino, finalmente, le stesse regalando qualcosa di buono. Un’illusione sparita presto nei debiti, nelle ansie e nelle bugie di un marito scontroso, egoista, ma che pure sentiva di continuare ad amare. Deanna aveva fatto la cameriera da quando aveva tredici anni. Leggere l’aveva sempre aiutata a non rendersi conto pienamente della verità. Cioè del fatto che suo fratello stesse in galera e che la sorella truffasse l’assistenza sociale, fingendo di avere una figlia ancora viva. Riusciva a tirare avanti. Leggere l’aiutava a non pensare di pesare più di cento chili, a evitare di considerare che l’unico momento lieto nell’ultimo anno era stato comprare una friggitrice per organizzare un buon pranzo a suo figlio, tornato a trovarla. Senza i libri non le sarebbe rimasto più niente.
Brenno conosceva bene la passione di Deanna, che era diventata anche la sua. La madre aveva letto a lungo per lui, soprattutto quando le cose andavano peggio. Succedeva di sera, se il padre faticava a rientrare, rimasto a bere in un qualche locale, oppure sul traghetto, quando era piccolo, mentre lo accompagnava a scuola. Brenno ci pensava anche adesso, appena sopra il tatuaggio di una rosa rossa, che portava sul petto custodiva i versi di Sarajlič:

O tenerezza umana,
dove sei?
Forse solo nei
Libri?

Con il mouse cercò di scoprire i dettagli del viaggio di un libro rilasciato molti anni prima, mostrò un lampo di gratitudine negli occhi, rivolto idealmente proprio alla madre; fu una specie di sorriso umido, appena accennato, rimasto sospeso sulle labbra da cui spuntava la curva lieve di un piercing.
Uno spiraglio si apre, uno spiraglio si chiude. Il sole, poi l’oscurità. E’ così il mistero di leggere e dei problemi di sempre, il gioco del vento con l’anta di una finestra. L’agio socchiuso dello stipite e la luce che fora la mattina. La leggerezza di una frase, capace di rassicurare, di indurti a sperare che, nonostante il freddo e la nebbia, andrà tutto bene.
Brenno frugò sullo schermo del computer e si trovò a spiare qualcuno che non conosceva dall’altra parte del mondo. Cominciò a leggere una lettera postata sotto alcune frasi di sua madre, che risalivano a molti anni prima, l’unico legame che aveva con quella storia era un vecchio libro di favole:


Cara Barbara,

non ho mai conosciuto il tuo viso, se non attraverso i racconti della piccola Joyer. Lei è la sorella minore di Juma. Mi ha detto di aver visto una volta una tua fotografia. Hai gli occhi del colore del cielo, i capelli dorati come il sole durante l’alba sul Nilo e la tua pelle bianca ricorda la sabbia del deserto. Sei, come racconta Juma di te, un angelo. Le tue storie hanno risvegliato la speranza nei nostri cuori e proprio grazie a te, io, a un passo dalla morte, ho ritrovato me stesso in un villaggio in Darfour. Juma era il mio nemico e mi ha salvato la vita grazie al libro che gli hai inviato più di sette anni fa. Prima che fosse un uomo Juma aveva ricevuto i tuoi regali, una maglia del Barcellona e questo libro magico con cui puoi parlare su un computer. Lui sta bene. Ti manda a dire che sei una brava persona e sarai una brava giornalista, la tua ostinazione, cresciuta con te in tutti questi anni, gli ricorda un proverbio africano: “Chi vuole davvero qualcosa trova una strada, gli altri una scusa”. Juma lo ha annotato sull’ultima pagina, completando la frase con la cosa che vogliamo di più qui in Africa: la libertà.
Le tue lettere hanno contribuito a far rinascere il desiderio di fratellanza e di umanità nella nostra terra devastata. Il libro che avevi spedito per gioco è stato amato da tutti i ragazzi della scuola, poi lo ha letto la piccola Joyer e lei l’ha infine affidato a me per il suo ultimo viaggio, il suo ritorno a casa, da te. Il tuo libro ha attraversando molte guerre, sfogliato da tante piccole mani. Alcuni di quei bambini non ci sono più, il loro spirito è volato via, ma molti altri crescono degni dei loro compagni. Ora, non avendo trovato una frase giusta da aggiungere alle altre, ho pensato di scriverti questa lettera sul computer e di rispedirtelo. So che non è tuo, so che lo avevi trovato su un traghetto e poi lo hai spedito in Darfour per gioco quando avevi più o meno l’età di Joyer, ma quanto bene ha fatto a tutti noi, ha dato senso a molte vite e ha salvato la mia!
Ti devo l’occasione di una seconda possibilità, non sono più solo un pilota mercenario. Nel 2004 siamo stati assoldati, ero un’altra persona allora, con una scorza dura sul cuore. Lanciavamo bombe con gli elicotteri nei villaggi per denaro. Ho bombardato il villaggio di Juma. Sono stato abbattuto. Una delle mie bombe ha ucciso l’insegnante di inglese. Aveva appena iniziato a tradurre il tuo libro.
Ho visto la morte inseguirmi tante volte, ho visto prendere fuoco il mondo ed esplodere cose e uomini in mille pezzi sotto la mia insensibilità. Il popolo che mi ha salvato era di stirpe zaghawa. Oltre l’arabo conoscevo la loro lingua e l’inglese. Tra la loro gente alcune donne sono più forti degli uomini nella lotta, si racconta di una Joyer che per una notte intera, da sola, ha tenuto a bada leoni affamati e ha salvato i suoi figli con la forza del suo grido e di due bastoni battuti su un tronco. La piccola Joyer porta quel nome, perché qui si pensa che nei nomi e nelle parole ci sia più forza di un fucile.
Questa gente aveva ricevuto il tuo libro. Avevo un kalashnikov puntato sulla tempia quando l’ho saputo. Sentivo il calore della canna, calda per aver già sparato. Cercavo tra i ricordi il sorriso di mia madre Aisha. Volevo morire con nella mente un pensiero degno. Poi però Juma, a soli quattordici anni, indossando la maglia blou grana di un campione di calcio, mi aveva chiesto in zaghawa se sapessi parlare inglese. Avevo risposto di sì. Mi hanno legato e imprigionato. Hanno discusso a lungo, alla fine hanno deciso di tenermi in vita per sapere come andava a finire quella storia appena iniziata. Ogni sera, sotto la loro sorveglianza, raccontavo di come una piccola gabbianella fosse stata accolta da una comunità di gatti. Quella gabbianella non sapeva volare e Zorba, un gatto nero, si occupava di lei. I bambini africani hanno una grande immaginazione. Sono arabo di nascita, la mia pelle è abbastanza chiara da essere confusa con quella dell’uomo bianco, l’hawalya mentre la loro assomigliava a carta marrone scura. Io ero caduto dal cielo come questa gabbianella.
L’ultima sera, sospirai, terminando la storia. Riportato alla mia capanna, ero ormai rassegnato al peggio. All’indomani sarebbe arrivata la mia esecuzione. Decisi di non provare a scappare. La lettura del tuo libro, forzata all’inizio, mi aveva cambiato. Mi avevano trasformato gli occhi avidi di curiosità di bambini e vecchi. Le grida di approvazione delle donne o il battere dei piedi sulla sabbia di un pubblico attento e partecipe.
Quella sera Juma mi scortò alla capanna e mi chiamò Ibarahaem, usando il mio nome. Nessuno lo aveva mai fatto. Un nemico alla fine poteva diventare un fratello? Scoprii imbarazzo nel suo sguardo, sotto le minuscole cicatrici che distinguono il suo popolo, mi comunicò che ero libero. Il cielo era pieno di stelle. Luminose, come mai avevo visto prima.

“Hamdallah, grazie a Dio!”, risposi, abbracciandolo.

Ti scrivo solo adesso Barbara, anche se me lo ero ripromesso da molto tempo. Ora che ho un computer, ora che per gli strani scherzi del destino mi trovo in un aeroporto militare a Malta. Nel villaggio di Juma esiste una montagna, la chiamano “Il villaggio di Dio”. Non conta la tua religione, che tu sia musulmano o cristiano, molti salgono lì e offrono doni, lettere, frasi, preghiere, ringraziamenti, lasciandoli in minuscoli cunicoli, scavati nella roccia. Su questa montagna che segna il brusco passaggio dell’orizzonte, lungo un pendio avaro di alberi, ci sono le qualità e l’amore di un intero popolo. Scriverti oggi, legare il mio destino al tuo, è un po’ come salire su questo pendio, lasciare una frase e dirti grazie. Perché è stato questo l’effetto del tuo gesto: sei stata un miracolo. E’ così bello essere un miracolo Barbara, non smettere mai di portare speranza. Custodisci con cura il libro che oggi torna a te, è pieno di ricordi e custodisce i sogni di un intero popolo.

Tuo,
Ibarahaem.

Journal Entry 4 by DiegoRossi at Roma, Lazio Italy on Monday, July 11, 2011
Capitolo 2 - Il bookcrossing -

L’avranno detto un migliaio di volte: “Non conta come sei fuori, ma quello che hai dentro”.
I libri sono così, la maggior parte almeno, nel senso che ricostruiscono una sorta di archeologia dei sentimenti; indicano la strada per raggiungere la regione interiore, troppe volte invisibile, sottovalutata, di cui ci si dimentica spesso, ma che è di sicuro tra le più straordinarie delle possibilità umane, proprio perché spinge a tirare fuori le qualità migliori.
Deanna non era bella, non era famosa né ricca, eppure aveva scoperto il modo di regalare libri persone che non conosceva. Era incinta di Brenno la prima volta che rilasciò un libro sulla panchina del traghetto che congiungeva il Jersey a New York. Il libro non era un gran che, un corso per imparare a suonare la chitarra, eppure lei si sentiva davvero eccitata nel sapere che un curioso lettore lo avrebbe cercato. Lei ci aveva provato, ma già dopo i primi accordi aveva capito di non essere portata. Magari qualcuno avrebbe scoperto il talento che non sapeva di avere, e si sarebbe poi convinto a scrivere un messaggio su internet, prima di rimettere il libro in viaggio. Perché nel bookcrossing funzionava così: i libri non restavano mai fermi, uscivano da una storia per rientrare a far parte dei sogni e della storia di un altro, ma lasciandoti sempre qualcosa dentro.
Deanna era stata ferita dalla vita molte volte; le cose erano peggiorate con l’attesa di Brenno. Lei era ingrassata senza accorgersene, a causa delle preoccupazioni. Sentiva un morso allo stomaco, di delusione e di rabbia. Si alzava di notte. Il marito le dormiva affianco, russava, diceva due o tre parole vedendola sveglia, ma poi ripiombava in un sonno insensibile. Lui non si preoccupava del figlio in arrivo, viveva in un mondo suo, usciva con gli amici, rientrava spesso tardi e lei era sempre più sola, temeva di non riuscire a farcela, avrebbe dovuto fare sia da madre che da padre a poco più di vent’anni. Aveva cominciato a sfogarsi mangiando, prendendo più chili del dovuto, senza curarsi più del suo aspetto.
C’era stato un momento però in cui la frase: “Non conta come sei fuori, ma quello che hai dentro” le era sembrata più vera di quanto avesse mai creduto. Deanna si trovava distesa sul letto e un raggio di luna aveva deciso di disegnare tra le lenzuola una curva più chiara. Tra i riflessi d’argento, minuscoli granelli di polvere avevano preso a brillare nel buio. In una notte sospesa a metà tra il caldo soffocante di luglio e l’aria fresca del canale vicino, era successo… Brenno s’era mosso. L’aveva sentito per la prima volta. Era stata la sera che aveva deciso di abbandonare un libro su una panchina, proprio sulla panchina del traghetto che sarebbe diventata la loro panchina. Quella dove Deanna e suo figlio avrebbero lasciato andare via molti libri. Sempre nello stesso posto, in giorni e ore diverse. Brenno, in qualche modo, apparteneva alla regione interiore che tutti sanno di avere, si faceva sentire da lì, da dentro. Deanna avrebbe voluto che prendesse le sue qualità migliori, quelle che le trasmettevano i libri: lo stupore, l’entusiasmo, la bontà. Così Deanna allontanò da sé le preoccupazioni e allungò il polso verso la sponda del letto, afferrando la copia di un libro di poesie di Sarajlič, il primo verso che lesse fu:

O tenerezza umana,
dove sei?
Forse solo nei
Libri?

La stessa frase che Brenno avrebbe portato, tatuata sul petto. Quella notte Deanna provava a immaginare la curva della fronte, la piccola piega del naso del bambino che avrebbe conosciuto. Intanto con le labbra socchiuse, fissando la pancia rotonda, lasciava una mano aperta sul ventre, appena sopra l’ombelico sporgente, come per accarezzarlo. La muoveva lentamente, seguendo il ritmo della voce. Leggeva, erano così dolci e sussurrati i versi che sembravano quasi una ninna nanna. Prima di addormentarsi Deanna, lasciò un sorriso alla mezza luna chiara. Fuori dalla finestra, sotto un filo di vento, sembrava fatta di ghiaccio. Deanna non era mai stata bella, almeno del tipo della bellezza che la gente cercava solo con gli occhi, ma tutti avrebbero potuto scoprire come era fatta dentro, aspettando di conoscere uno dei sorrisi di cui era capace. Brenno non aveva trovato ancora in nessuna ragazza un sorriso come quello di sua madre. Lo bramava con tutto se stesso, sperando che tornasse a riaprirsi presto sul suo viso sempre più triste, e nonostante tutte le avversità, quando meno se lo aspettava, quando tutto appariva ormai perduto, dimenticato, eccolo lì, sembrava di riconoscerlo e chiamarlo: a Deanna ridevano gli occhi, le labbra, il cuore, per un istante le sembrava di volare e tutto allora diventava possibile... a partire da un sorriso così, leggero, spensierato, capace di vincere la delusione e il male... un tipo di sorriso che non conosceva né tenebre né sconfitte, era il sorriso vero che stava sotto la maschera del dolore, sotto l’apparenza della vita di sempre. Lo regalò a Brenno, di mattina, davanti a un computer, dopo otto anni dal rilascio di un libro, leggendo l’appassionata lettera di Ibarahaem...

Journal Entry 5 by DiegoRossi at Roma, Lazio Italy on Tuesday, July 19, 2011
capitolo 2 - Il bookcrossing -

Il libro era stato lasciato da Deanna sulla panchina del traghetto che congiungeva il Jersey a New York in una calda serata di estate del 2003, poco prima che incominciasse a piovere. Naturalmente si sarebbe rovinato se fosse rimasto a lungo sotto il temporale, ma, insieme al cadere delle prime gocce erano arrivate le mani pazienti di una ragazza, Barbara. Lei era originaria di Barcellona. Si trovava a New York in vacanza studio. Aveva solo tredici anni allora.
Amava leggere, con la coda dell’occhio notò qualcosa. Continuava a parlare con le altre ragazze della scuola, ogni tanto controllava, magari qualcuno si era dimenticato. Poi aveva scoperto che la copia in inglese di “storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” era lì perché cercava lei. Conteneva un messaggio, proprio come le bottiglie che si lasciano in mare.
Nel 1929 un gruppo di studiosi tedeschi aveva deciso di seguire il viaggio di una bottiglia. L’avevano gettata nell’oceano indiano meridionale, all’interno avevano scritto un messaggio che chiedeva a chi l’avesse trovata di segnalare il luogo di ritrovamento e poi di rimetterla in mare. Nel 1935 la bottiglia aveva percorso più di 25.000 Km, facendo il giro del mondo, la distanza più lunga mai registrata.
Allo stesso modo Barbara, alzando la copertina iniziò a leggere…

Caro lettore,

devi essere molto curioso…
Non aspettarti una storia scabrosa o un groviglio verboso. Non aspettarti un trucco, ma consideralo semplicemente un invito alla lettura. Per una volta non sei stato tu a scegliere un libro, ma il libro a scegliere te. Potresti essere un vecchietto curioso, e ti è venuta su quest’espressione interrogativa che non sai come sciogliere adesso. Oppure sei una ragazza con la maglietta scucita dalla moda, che va a scuola e maledice questo viaggio sull’acqua. Hai scovato un libriccino sulla panchina di un traghetto, d’istinto l’hai portato all’orecchio, più o meno deve averti sussurrato:
“Evita di seppellirmi nella libreria di casa, o di scavare un buco, come farebbe un cane con l’osso! Sono un libro che vuole viaggiare, far felici tanti bambini, pensa a me come a una bottiglia con dentro un messaggio, vorrei correre per il mondo, riposare sul sedile di un treno, che ne so, finire nella cassetta della posta di una pediatra, rimanere lì, nella sua sala d’attesa per un mese, per capitare poi in una comitiva di amici con la fissazione della lettura, essere infilato dietro lo schienale di un aereo e via così, ma la cosa che vorrei più di tutte è fare felice qualcuno. Arrivare dall’altra parte del mondo, magari tu puoi aiutarmi. Forse mi amerai, mi userai come cuscino, mi infilerai nei pantaloni per portarmi con te e vedere come va a finire la bella fiaba che è nascosta sotto le mie pagine, e poi deciderai di lasciarmi andare… lontano. Pensa, all'inizio sono precipitato tra le riviste di una parrucchiera dagli occhi azzurri e i riccioli biondi. Una signora mi ha portato con sé e letto d’un fiato, proprio su questa panchina, insieme a suo figlio ha deciso di farmi iniziare questo viaggio, è stato allora che tu hai cominciato a mettermi gli occhi addosso, a disegnare cerchi sul ponte con me al centro, per capire se qualcuno mi avesse dimenticato. Eccomi finalmente tra le tue mani e credo che tu abbia deciso di tenermi con te. Non vedi l’ora di conoscere cosa ci sia nascosto sotto la mia pelle di carta… Beh… questo si chiama BookCrossing… … posso solo dirti… buon divertimento.”

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